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Codici del genere hanno impreziosito la cavalleria islamica e persino la classe dei samurai giapponesi, per non parlare delle allegorie degli esseni quali sono delineate nei testi qumranici. Ma la cavalleria cristiana dell'Europa medievale nulla o quasi pare avere lasciato. Eppure erano i tempi delle crociate antiislamiche in Terra Santa, della Riconquista nella penisola iberica da una parte, della lotta dei germanici cristiani contro i russi ortodossi, oltre che contro i tàtari musulmani.
In primo luogo vediamo il menzionato Magnum Beigli Chronicon, redatto in occasione dell'incoronazione di Guglielmo d'Olanda a rè dei Romani, nel quale si legge: Regala Militaris Ordinis prcescripta Wilhelmo, cum in Regem Romanorum eligeretur a Principibus Imperi in Cominjs Coloniensibus. Anno Domini MCCXLVII. Dominus autem Cardinalis in Pontìfìcalibus assistens omamenns eidem Armigero dixit, secundum Etymologiam nominis, quod Miles esse debeat.-Magnanimus in adversitate.- Ingenuus in consanguineitate.- Largifluus in benestate.- Egregius in Curialitate.- Strenuus in virili peditate.Sed antequam votimi luce professionis facias cum matura deliberatìone, lugum Regulce prius audias.
La Regula di Guglielmo, come gli altri scritti, certo non può soddisfare il nostro desiderio tutto moderno, tutto cartesiano se vogliamo, di vedere illustrata compiutamente la figura del cavaliere in ogni suo dettaglio, ponendole basi per orientarsi in un'eventuale casistica- Emergono da essa, nondimeno, i lineamenti d'un carattere che ben si addicono al cavaliere di ogni epoca come di ogni professione ideologica.
Trasferiamoci in un qualsiasi ambiente dell'Europa sempre meno legata al civis romanus che aveva conquistato il mondo allora conosciuto imponendo la lex romana, e non quella soltanto.Il susseguirsi delle immigrazioni dall'oriente e dal nord, l'alternarsi dei cosiddetti barbari, gli stranieri portatori di concezioni e costumanze nuove, avevano affievolito lo spirito dello ius atutto beneficio della forza, al senso del diritto era subentrata la volontà del più potente.
La saggezza della Chiesa ha fatto sì che energie dirompenti di uomini dal fisico robusto ma dallo spirito inquieto finissero incanalate e indirizzate con una gradualità imposta dalla natura umana più che da un piano organico di azione sociale.
Ma ancora più saggia dobbiamo considerare la politica di modellamento delle coscienze a partire dalla prima età. Perché è proprio negli anni più teneri che si forma il carattere e tante doti, siano innate od acquisite, si consolidano.
Comprendere bene questo fattore psicologico significa preparare le strutture portanti della società del domani, anche se non di rado il futuro ha riservato sorprese, delusioni, amarezze. "Cavaliere non si nasce, si diventa".
È come dire: nessuno nasce perfetto, il carattere va formato.
La pedagogia in quanto scienza continua ad insegnarlo; ma anche quando operava ancora in modo empirico seguiva appieno questo criterio.
Ecco perché troviamo nell'istituzione cavalleresca una particolare attenzione per l'adolescenza e per la stessa fanciullezza: così come la troviamo nella liturgia della quale è ben nota l'efficacia formativa in ogni condizione psicofisica oltre che sociale.
Una pedagogia per quanto rudimentale si pone degli obiettivi, più o meno chiari, più o meno organici, e di fronte alla varietà dei metodi uno ne adotta, non sempre consapevolmente. Sempre, comunque, ricorre alla legge della presentazione di modelli ai quali indirizzare i propri allievi: che i neofiti sono stati e continuano ad essere tali.
La cavalleria aveva da un lato da rafforzare i propri ranghi, dall'altro da preparare le proprie future leve; in vista d'una continuità nella quale si riflette l'istinto di sopravvivenza, dell'uomo come delle istituzioni, occorreva assumere appunto dei modelli mostrandoli come figure ideali non solo, ma pienamente raggiungibili.
Ed ecco delinearsi il cavaliere sans peur et sans reproche, senza macchia e senza paura, capace di vivere appieno lo spirito cavalleresco nec laudìbus nec timore, liberi dal calcolo del premio quanto dalla paura di punizioni. È vero che un tipo d'uomo di questo genere si ha sulla carta come anche in quelle buone intenzioni delle quali la saggezza popolare dice che è lastricato l'inferno.
Ma è altrettanto vero che se la cavalleria sviluppò una pedagogia sua propria, un'educazione peculiare per le finalità alle quali tendeva e che non sarebbero state di certo standardizzabili per la massa, lo fece prefiggendo a sé stessa ed ai suoi mèmbri, agli effettivi come a quelli da cooptare, un complesso di obbligazioni la cui osservanza conduceva all'elevazione costante, e non soltanto morale, mentre la loro violazione avrebbe comportato un abbassamento di fronte alla propria coscienza prima ancora che agli occhi altrui.
Immaginiamo un fanciullo che, accanto a una dama, ma soprattutto ad un cavaliere, sente parlare in termini positivi e lusinghieri di elementi della vita che fanno dell'uomo una personalità libera seppure disciplinata, soddisfatta nell'esercizio costante della fedeltà, preoccupata di riscuotere costantemente l'approvazione della casta dei propri simili.
Dieu premier servi: il servizio di Dio innanzitutto, così come proposto dai suoi rappresentanti in terra; quindi, Deus meumque ius, perché il senso della verità e del dovere non deve far velo alla difesa costante del proprio onore personale; poi l'esercizio di virtù naturaliter umane e per questo naturaliter cristiane, quali la disciplina, l'autocontrollo, la moderazione, la dedizione, la protezione dei deboli, la sollecitudine per i propri subalterni, la lealtà verso l'avversario, persino la generosità con il nemico sconfitto.
Un ruolo considerevole è assegnato ai rapporti con la dama, incarnazione della bellezza e della grazia. È un amore rispettoso, tutt'altro che sdolcinato. Certo, nel tempo nostro che vede predominare quella che molti e troppi chiamano sincerità, schiettezza e via dicendo mentre meglio parleremmo di postribolarismo predominante, una tale correttezza si stenta a comprenderla; ma la rottura di ogni senso morale significa proprio il contrario della libertà: il decoro, la dignità, l'indirizzare la natura umana verso l'impero della ragione sulla sensualità animalesca, sono valori che l'età cavalleresca quanto meno insegnava a rispettare, non a deridere.
Un'altra faccia del sentimento dell'onore e del dovere il fanciullo imparava: il mantenere fedeltà al suo signore e alla parola data. Il Machiavelli non era ancora nato, l'ideale era quello della "cortesia". In val d'Aosta, esempio degno di maggiore rilievo, i fanciulli di casa Challant venivano condotti di fronte agli stemmi degli antenati, e di ciascuno di questi si ricordavano le nobili azioni affinchè l'azione educativa si fondasse su elementi visivi tali da rafforzare la memoria e meglio foggiare il carattere. Erano la madre e due gentildonne a preparare il fanciullo a diventare paggio, quindi, alla corte d'un principe o d'un castellano, farsi domicellus e poi scudiere, percorrendo questo iter punteggiato da riti altamente formativi, fino a mostrarsi degno di portare le armi.
Il ventunenne aspirante, superato un vero e proprio esame sotto forma di un'impresa, veniva "armato" cavaliere, ossia, riceveva solennemente le armi tutte sue nel corso d'un rito liturgico di investitura così ricco di simboli visivi e verbali e gestuali, preceduto da una "veglia d'armi" essa pure condotta ritualmente in modo da fissare taluni punti chiave; ed è proprio da questo complesso di atti, se non iniziatici, certo altamente allegorici, che è possibile ricavare parte delle norme morali per le quali la cavalleria avvertiva un legame del tutto particolare.
Alla vigilia della solenne investitura il candidato si sottoponeva al bagno rituale che presenta tutti i caratteri della purificazione fisica intesa come un voto alla purezza dello spirito: una metanoia, un segno di penitenza e di conversione parallelo al battesimo. Indossava poi una cotta nera simbolo della morte, una tunica bianca simbolo dell'onore, e un manto rosso simbolo del sangue da versare, all'occorrenza, in difese della fede e di tutto ciò che è bene. Sempre digiuno, trascorreva la notte in cappella, ed era questa la "veglia d'armi". Il mattino, dopo la comunione sacramentale e la benedizione della spada, il Vescovo dava lettura dei doveri del cavaliere, poi procedeva all'investitura che consisteva nella vestizione (adoubement), nella consegna delle armi e nell'abbraccio finale (accolade): uno sviluppo delle tradizioni germaniche già note a Tacito e citate nella sua Germania. Ciascun elemento, come si può vedere, portava con sé un richiamo all'impegno di fedeltà da conservare al prezzo della vita stessa, al fatto che l'impiego delle armi era finalizzato alla tutela dell'onore di Dio e della Chiesa, del sovrano e dello Stato, di sé stesso e degli altri, specie i deboli, gl'inermi, gli indifesi. La stessa pompa del cerimoniale aveva una funzione ben precisa, più psicologica in senso ampliore che pedagogica in senso stretto: far comprendere che i valori soggiacenti a quelle esteriorità sfarzose erano inerenti al campo della morale e presupponevano l'impegno alla loro difesa.
Le parole "La mia anima a Dio, la mia vita al Re, il mio cuore alla mia dama, il mio onore a me", vanno ben distinte dalle frasi fatte, velano anzi tutta la filosofia della cavalleria medievale composta di idealità superiori. Varrà la pena di insistere sull'educazione cavalleresca come pure sul rituale dell'investitura perché, anche se non abbiamo noi un codice strido sensu, abbiamo però un quadro del complesso di valori dei quali il cavaliere doveva rappresentare l'incarnazione.
Nella preparazione pluriennale non sarà difficile scorgere una chiara intenzionalità axiologica, una prospettiva alla quale orientare l'azione di chi, in vari tempi e a diversi livelli, aveva il compito delicato di farsi maestro d'un fanciullo, poi d'un adolescente, infine d'un giovane, con la piena consapevolezza che quell'allievo era stato chiamato da un destino sconosciuto e insondabile a farsi, un giorno, il portatore d'un ideale non solo, ma il difensore d'una visione tutta particolare della vita: armato di spada perché coscientemente votato al sacrificio.
Un difensore esperto delle cose del mondo, esperto, per lo più a proprie spese, del fatto che il mondo non solo misconosce, ma disprezza e combatte ogni concezione elevatrice dello spirito, ogni ideologia schiettamente aristocratica. E tutto quello che può contribuire a rendere egregius l'uomo, ad elevarlo facendolo emergere dal gregge amorfo, anonimo, incolore, è sempre stato riguardato come un donchisciottismo di nessuna utilità o spregiato come espressione di superbia. Come in tutto ciò che è legato all'umanità, c'è da pensare che nell'intersecarsi della combattività con la religiosità ci fossero più aspirazioni che realtà; comunque, la regolamentazione nel ricorso alla forza e nell'uso delle armi così come adombrata da quanto rimane dei codici offre un contributo non indifferente alla comprensione d'un fenomeno che non sarebbe esatto circoscrivere al cristianesimo medievale e che spiega come sia stato possibile parlare di religioni militari ed anche di monaci guerrieri.
Verranno i giorni in cui troverà accentuazione il misticismo che indirizzerà a ideali meno materiali, e più spiritualizzati ne risulteranno sia lo spirito, sia lo stile di vita. Si parlerà della queste du Graal, della ricerca del Santo Graal a voler simboleggiare l'anelito a quanto di più elevato possano albergare l'intelletto ed il cuore dell'uomo.
Quanto ho esposto non è di certo soddisfacente per il mio cortese uditorio, così come non lo è per me. Non lo considero una trattazione, ma solo un accenno, la puntualizzazione d'un tema che varrà la pena di sviluppare e approfondire sotto il duplice profilo storico e morale. Il mondo contemporaneo offre ai nostri occhi la visione d'una società che non lascia troppo sperare anche se non può dirsi tutta depravata, anche se lo stato di abiezione in cui è stata volutamente gettata viene dal calcolo d'una malvagità variamente paludata. L'irridere ai valori cavallereschi, ai valori morali tout court, il rafforzarsi costante dello spirito di casta nella lotta per il potere socio-politico ed economico, ha condotto ai risultati che tutti vedono fuorché coloro che dovrebbero vederli. Ma anche se non tutti hanno smarrito la retta coscienza, anche se esiste ancora la santità di vita spinta fino al suggello del martirio, sarà giocoforza guardare al futuro senza illusioni. Noi comunque seminiamo affinché nel mondo di domani i valori della cavalleria possano emergere e trionfare sui disvalori dell'ora presente.
Il Cancelliere del Gran Priorato Melitense O.S.J. Cavalieri di Malta
Dr. Renzo Pampalon
Come tutti i Cavalieri del Mondo ringraziano il Professore Franco Bigatti per la sua superba esposizione e per avermi permesso ed onorato di pubblicarla nel mio blog.
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